21st century freak show

da volume 10, n. 2, 2012 | Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

“Siamo il novantanove per cento. E, signore e signori, siamo tutti, ma proprio tutti, su Facebook. Rettifico, qualcuno è anche su Twitter, principalmente quegli snob degli inglesi. Siamo il popolo di Internet e degli smartphone, la generazione Y, quelli malati di “autismo digitale”, sì gente, proprio noi. Quelli che non leggono i giornali, ma i quotidiani online. Quelli che non comprano libri, ma ebook. Quelli che non hanno mai aperto un’enciclopedia, perché il signor Google esisteva da prima che iniziassimo a leggere. Quelli che non hanno un diario segreto, al massimo un blog che tutto il mondo può leggere. Quelli che non sono cresciuti giocando a pallone o con le bambole, ma con i videogiochi. Quelli che non comprano dischi, ma scaricano mp3. Quelli che non si telefonano, al massimo qualche volta si videochiamano con Skype. Quelli che non mandano lettere (cosa è una lettera? – mai ricevuta una), ma SMS, o tutt’al più un post in bacheca su Facebook – questo sì che si chiama “dimostrare affetto”. Siamo quelli che, lentamente, stanno perdendo il calore di un abbraccio, di un sorriso che sia qualcosa di più di due punti ed una parentesi :).

Siamo la generazione del paradosso, nell’era sterile e disinfettata del progresso tecnologico, i giovani che hanno la possibilità di tenersi in contatto ogni istante, ma non conoscono più il valore della discussione, che si parlano, si scrivono, ma non comunicano, che si sfiorano, ma non si toccano, che non riescono ad andare oltre la superficie. Ma voi ci conoscete bene, non è vero? Noi vi incuriosiamo, vi meravigliamo, suscitiamo in voi un interesse quasi scientifico. Ci dissezionereste. Perché in fondo vi sembriamo un po’ degli alieni (ma la cosa è reciproca, non preoccupatevi). Sapete qual è la verità? Viviamo in un Ballo in maschera. Ma Verdi non c’entra niente, e neanche Romeo e Giulietta. Non c’è spazio per le grandi passioni. È un Ballo in maschera decisamente poco romantico, più spesso grottesco che divertente, la musica ha un ritmo leggermente ossessivo, ci trascina, non ci lascia il tempo di riflettere. Tutto ci scivola addosso. Ma in fondo che senso ha pensare in un mondo così veloce? Si rischia di farsi inghiottire da questo turbinare di eventi. E poi il nostro Ballo è un evento totalizzante, che si ripete ogni giorno ed ogni giorno risucchia le nostre energie, mette in stand-by i nostri cervelli. È una vita parallela, anzi una vita migliore, perché grazie a questo schermo che ci fa da maschera possiamo fingere di essere ciò che vorremmo, possiamo porre rimedio alle nostre mancanze. Una maschera aiuta ad essere più simpatici, più spiritosi, più affascinanti, ad osare di più. Fa sentire perfetti. È per questo che lasciamo che il Ballo, che sia un social network, un blog, un forum o un semplice SMS, filtri ogni nostro contatto con il prossimo: perché la sensazione di essere perfetti, di dire (o meglio, scrivere) la cosa giusta, nel modo giusto ed al momento giusto, dà dipendenza, una dipendenza terribile. Perché, forse, è uno dei pochi momenti in cui ci sentiamo ascoltati, apprezzati per davvero. Perché anche solo un misero “mi piace” ci fa sentire meno soli. Capite a che punto siamo arrivati? Siamo arrivati al punto che non esitiamo a metterci completamente a nudo solo per ricevere un po’ di conforto, un po’ di calore, per quanto virtuale. È un Ballo in maschera in cui indossiamo maschere meravigliose, ma siamo tutti, completamente, nudi. Siamo nudi davanti al mondo, ma il mondo non se ne accorge perché anche lui è nudo. A noi stessi non dispiace rimanere nudi al cospetto dell’intero pianeta, perché siamo perfetti, ed è bello lasciarsi ammirare. E poi, dietro la nostra maschera, ci sentiamo protetti: del resto, quella che mostriamo non è che una delle innumerevoli identità che possiamo assumere. Niente di più lontano dal nostro vero Io. Ma questa è la nostra rovina. Perché non si può conoscere davvero una persona che si nasconde dietro una maschera. E noi lo sappiamo. Sappiamo che il Ballo occupa gran parte delle nostre giornate, ma non dura in eterno. E, quando finisce, quando arriva il momento di togliersi la maschera, torniamo delle persone normali, piene di difetti ed anche un po’ noiose. Torniamo umani. Ma siamo umani incapaci di parlarci veramente, abbiamo troppa paura di mostrare il nostro volto. È colpa di questo Ballo, che ci destabilizza un po’. Che ci abitua a relazionarci in un modo non autentico, superficiale. Perché una comunicazione filtrata da una maschera non può essere autentica. La maschera è diventata il mezzo imprescindibile per stabilire un rapporto, e il Ballo stesso sta diventando il fine di ogni rapporto: potersi vantare di avere tanti amici che ti vogliono bene, se quello destinato ad una maschera può chiamarsi affetto. È per questo che nella nostra epoca non possono esistere i grandi amori: perché l’amore è bello quando è un segreto, un sentimento esclusivo, quando lo si tiene nascosto agli sguardi indiscreti della gente. Nel ventunesimo secolo, invece, la prima cosa da fare, quando ci si innamora, è scriverlo su Facebook, cosicché tutti i partecipanti al Ballo abbiano qualcosa di cui parlare. Poco importa se la dimensione privata è ridotta a zero, quello che conta è essere al centro dell’attenzione, sentirsi ancora più vicini alla perfezione. Questi anni in cui stiamo allargando a dismisura lo spazio già infinito che ci separa dagli altri esseri umani non piacerebbero, credo, neanche ai grandi filosofi, quelli un po’ all’antica, quelli un po’ fissati con il dialogo, con la ricerca, con il ragionare insieme. Prendete Socrate, per esempio. Se uno come Socrate fosse vissuto nel ventunesimo secolo, forse nessuno avrebbe dovuto costringerlo a bere la cicuta. Si sarebbe ucciso da sé, probabilmente con un cocktail di alcol ed antidepressivi dopo aver creato una pagina su Facebook, o dopo aver scritto qualcosa su un blog. Non avrebbe abbandonato la vita conversando con i suoi discepoli, ma da solo, dietro lo schermo di un computer, forse dopo aver lasciato un lacrimoso messaggio d’addio sul suo social network preferito. Una morte estremamente triste, che non ha niente di eroico. Cosa può esserci di eroico in un’epoca in cui i giovani, quelli che dovrebbero lottare per creare un futuro migliore, passano le loro giornate con lo sguardo fisso su un monitor? Cosa può esserci di glorioso in una generazione i cui pensieri sono monopolizzati da un Ballo in maschera? Ora, intendiamoci, non voglio demonizzare la tecnologia (o meglio, solo un pochino). Sarebbe ipocrita, dato che anch’io sono  a tutti gli effetti un’assidua frequentatrice di questo Ballo che poi, a ben vedere, ha anche i suoi aspetti positivi: permette di incontrare persone che vengono da Paesi lontani (certo, bisogna sempre guardarsi sempre da stalker, ladri di identità e persone che nascondono dietro la maschera intenzioni pericolose, ma che vuoi che sia?), di conoscere nuovi modi di vivere, di ricevere un’informazione multilaterale e in tempo reale, di ampliare i propri orizzonti culturali. È indubbio che abbiamo raggiunto traguardi che solo vent’anni fa erano inimmaginabili. Ma ci rendiamo conto del tesoro che abbiamo perso? Abbiamo rinunciato ad un patrimonio di emozioni, di gesti, di sguardi, di lettere profumate, di regole di corteggiamento, di fughe notturne dalla finestra per passare qualche ora a parlare, abbiamo rinunciato all’entusiasmo che nasce dalla scoperta di una persona nuova. Ma per tutto questo c’è bisogno di tempo. E noi non possiamo aspettare, dobbiamo avere tutto e subito. L’attesa del piacere non è piacere, è uno strazio, e bisogna eliminarla. E poi si sa, nessuno è mai contento dell’epoca in cui vive. Perché la conosce troppo bene, e quando si conosce troppo bene qualcosa, questa perde immediatamente tutto il suo fascino. Perché la quotidianità è tutto meno che affascinante. È un po’ come un amante: non appena si ha la possibilità di guardarlo abbastanza da vicino, si notano tutti i suoi difetti, tutte le piccole crepe che rovinano la statua perfetta che ci era sembrato. E non cercate di fare i poeti, non provate a dirmi che anche i difetti possono essere affascinanti. I difetti sono fastidiosi, e sono sempre tanti, troppi. È per questo che cerchiamo di evadere: chi, un po’ nostalgico come me, prova a rifugiarsi nel passato, chi si sforza di pensare ad un futuro migliore. Ma restiamo intrappolati. E i nodi che ci legano sono tanto più stretti per noi giovani, perché il ventunesimo secolo è la nostra epoca, la tecnologia ci ha partoriti e cresciuti, ed ora ci tiene prigionieri. Venite a vederci, signore e signori, il biglietto costa poco. Niente donna barbuta, niente gemelli siamesi, la nuova attrazione siamo noi! I giovani che hanno rinunciato al proprio cuore, che hanno la pelle fredda come lo schermo di un computer, che si vedono ma non si guardano, che si scambiano parole ma non parlano. Siamo il frutto amaro dell’evoluzione che voi avete voluto. Venite a vedere, è un gran bello spettacolo.”

Chiara Carboni, IIB, Liceo di Sassai